giovedì 25 agosto 2011

Se ci avessi pensato prima

Stamattina sveglia alle sei e trenta. Piove. Volevo ben dire.

    Alle sette e ventitre, con ben due minuti di anticipo, io e la BB con il nostro ombrellino siamo alla fermata del bus, dove ci sono due pullman in attesa, ma nessuno dei due è il nostro. Alle sette e trenta ancora il bus non c'è. Cominciamo bene, penso, ma mi sento di rassicurare la BB, per il motivo piuttosto banale che vedo un altro bambino con la divisa della scuola, mica perché sia particolarmente certa che il bus non sia già passato. Non sarò mica l'unica che arriva all'ultimo secondo, e comunque stamattina mi sembrava di essere stata bravina, che son arrivata giusta. Comunque alla fine arriva, ma non è uno scuolabus, è un pullman da 50 posti. Beh, dico, va' che grande sto bus, staremo più comodi, forse, ma in realtà ho come idea che si vomiti più facilmente, su quei cosi. Come da prassi salgo con la BB e prendo posto vicino a lei. Parliamo poco durante il tragitto, lei pensa alla scuola e io alle manovre da incropito che l'autista sta eseguendo per entrare e uscire dal compound. Forse sarebbe stato meglio se avessero mandato un pullmino più piccolo, perché se impiega dieci minuti solo per una fermata siam messi bene. E infatti a ogni compound è la stessa storia (e meno male che sono solo tre). La difficoltà maggiore, comunque, sta nell'inserire le marce. Ok, penso, siamo solo al primo giorno, magari tra un po' impara dove sta la prima e dove la retro.

    Arriviamo a scuola con un notevole ritardo (dovremmo essere lì alle sette e quarantacinque, arriviamo alle otto e dieci). Scendiamo, ma non c'è nessuno che accoglie i bambini, o li accompagna. Vabbe', la porto io in classe, le mostro di nuovo dov'è, come ci si arriva, e insieme mettiamo lo zainetto sul gancio con il suo nome. I suoi compagni sono già arrivati, ci diamo un bacio, poi chiudo la porta. Io resto lì fuori dalla classe un po' per vedere se va tutto bene, ma dallo spiraglio di vetro non riesco a vederla, anche se immagino che si sia seduta con gli altri bambini.

    Aspetto solo qualche minuto, poi scendo. A metà scala c'è una signora che piange, e nella classe vicina un bambino in lacrime. Guarda un po', penso, c'ho un po' di magone anche io. Scendo in fretta le scale pensando che ho ancora un po' di tempo per andare a fare la spesa, ci arrivo a piedi da qui al Cialeful, che sarà anche caro ma finché non trovo un altro mercato è meglio che vada lì, così non mi perdo per strada.

    Quando arrivo nel cortile lo sento arrivare.

    No, non è la commozione, non è che la BB diventa grande e anche Gatto Selvaggio sta crescendo, non è che sono preoccupata per loro, non è che sono stanca, non è il cambiamento, non è che il mio inglese fa schifo, non è che mi mancano le amiche e le mie sorelle, non è che la Gabbianella si toglie il pannolino e poi fa la pipì per terra, non è che mi senta sola nonostante non sia mai sola, non è la pressione bassa, non è che non ho ancora mangiato. O forse sono tutte queste cose insieme. Il fatto è che mi viene da piangere, e adesso che ho cominciato non sono più capace di smettere.

    E la cosa più drammatica è che non ho neanche un fazzoletto.

Quanto la BB scende dal pullman, sette ore e cinquanta minuto dopo, saltella su e giù dal marciapiede, ha voglia di raccontare tutto, dei giochi con la maestra, della collana che ha fatto con le perline, del cibo che ha mangiato, della biblioteca, della sua nuova amica italiana, e insomma è così tranquilla che quel martelletto che ho in testa smette di picchiarmi le tempie, e, complice un po' di pane e Nutella (che si sa, non serve ma aiuta), mi sento decisamente meglio.

Potevo anche pensarci prima.

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